"Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé
se vuole scrivere romanzi".
se vuole scrivere romanzi".
E' questo ciò che scrive Virginia Woolf in uno dei suoi testi più celebri, "Una stanza tutta per sè".
Pubblicato il 24 ottobre 1929, si tratta di un saggio basata su una serie di conferenze tenute al Newnham e Girton College dell' Università di cambridge nel 1928.
Il saggio, tra gli altri argomenti, esamina la possibilità delle donne di essere in grado di produrre un lavoro della stessa qualità di quello di William Shakespeare.
In una sezione particolare, la Woolf inventa un personaggio fittizio, quello di Judith "la sorella di Shakespeare", per illustrare che una donna con gli stessi doni del bardo avrebbe visto negate tutte le opportunità date a lui di sviluppare il talento, solo perché esse sono chiuse alle donne. Ma la Woolf non si sofferma solo su questo, esamina anche le carriere dei vari autori di sesso femminile, tra cui Aphra Behn, Jane Austen, le sorelle Brontë e George Eliot. L'autrice si riferisce sottilmente a molti dei più importanti intellettuali del tempo, mettendo in evidenza le capacità intellettive delle donne e rivendicando per loro l'opportunità di inserirsi ed affermarsi nell'ambito letterario e culturale in genere, alla pari dell'uomo. Per far ciò è innanzitutto necessario che alla donna venga riconosciuto denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sè, come dice la Woolf nello stesso testo.
La stanza tutta per sè vuole anche essere una metafora della libertà : ognuno, uomo o donna che sia, ha diritto di esprimere la sua arte secondo la proprie idee, il proprio stile, la propria poetica. Da qui la necessità di avere una propria stanza, un proprio spazio per esprimersi.
Ma ciò che mi interessa sottolineare in questa sede è il discorso sulla donna che Virginia porta avanti in questo saggio.
La Woolf è stata non solo una delle principali letterate del XX secolo, ma anche una delle figure cardine del femminismo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi.
Ed è questo il femminismo che amo.
Il femminismo, nelle mani e nelle menti sbagliate, ha prodotto, a mio avviso, i più grandi errori nei confronti della figura femminile. La lotta e l'ossessione per la parità dei diritti tra uomo e donna, ha fatto si che la donna, invece di emanciparsi e tutelarsi, non ha fatto altro che retrocedere e diventare una "brutta" copia dell'uomo moderno, distruggendo la sua vera identità e sotterrando ogni tipo di femminilità. E' accaduto, così, proprio tutto ciò che la Woolf non voleva, che temeva che avvenisse e per questo lottava e scriveva.
A tal proposito cito un altro passo del saggio :
"Fra cento anni, d'altronde, pensavo giunta sulla soglia di casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati. La balia scaricherà il carbone. La fruttivendola guiderà la macchina. Ogni presupposto basato sui fatti osservati quando le donne erano il sesso protetto sarà scomparso; ad esempio (in strada stava passando un plotone di soldati) l'idea che le donne, i preti e i giardinieri vivano più a lungo. Togliete questa protezione, esponete le donne agli stessi sforzi e alle stesse attività, lasciatele diventare soldati, marinari, camionisti e scaricatori di porto, e vi accorgerete che le donne muoiono assai più giovani e assai più presto degli uomini; cosicché si dirà: "Oggi ho visto una donna", come si diceva "Oggi ho visto un aereo". Può accadere qualunque cosa quando la femminilità cesserà di essere un'occupazione protetta, pensavo, aprendo la porta."
Leggendole oggi, queste parole, scritte nel 1929, appaiono profetiche. E spiegano in fondo cosa avrebbe dovuto essere il femminismo e cosa poi non è stato.
Come scrive Virginia, lottare per i pari diritti non significa far si che la donna diventi una copia dell'uomo, acquisendone lavori che per natura non le dovrebbero appartenere e gli atteggiamenti peggiori. Emanciparsi non significa far qualunque tipo di lavoro, anche quello più pesante e meno gratificante, pur di avere dei soldi in mano; emanciparsi non significa diventare una menager d'affari o avere la patente per guidare una macchina. L'emancipazione deve innanzitutto andare di pari passo con la tutela della figura femminile, da ciò ne deriva che ci sono dei lavori che la donna non deve fare perchè non tutelano la sua immagine, non salvaguardano la sua salute, non difendono la sua femminilità. E per gli stessi motivi ci sono degli atteggiamenti che la donna non deve acquisire dell'uomo. Dunque, affinchè di vera emancipazione si possa parlare, è giusto che la donna abbia l'opportunità di affermarsi per le proprie capacità intellettive, creative, artistiche e culturali e in base a queste, le vengano riconosciuti gli stessi meriti e gli stessi guadagni che da sempre sono riconosciuti agli uomini.
Per questo motivo, io vorrei vedere meno donne che lavorano in fabbrica, meno donne che si arrichiscono facendo shampii e tigendo capelli o facendo ricostruzione unghia. Vorrei vedere meno donne che fanno le commesse sottopagate nei centri commerciali o che lavorano nei call center. Vorrei vedere meno donne che fanno lavori eccessivamente pesanti per il loro fisico e meno donne nelle poltrone del parlamento, nelle banche, negli uffici e simili.
Ed invece vorrei vedere più donne dedicarsi ad attività artistiche e culturali, vorrei vedere più donne che scrivono libri, che disegnano, che dipingono, che cuciono, che scrivono canzoni e poesie, e gli vengano riconosciuti i giusti meriti per questo.
Purtroppo tutto questo sembra essere ormai un'utopia, un po' per colpa dello stato attuale delle cose nella nostra società, un po' perchè le donne stesse non lo vogliono. Per molte, emancipazione significa solo avere un guadagno personale e potersi permettere qualsiasi sfizio materiale.
In realtà non ci sarà mai una vera emancipazione fin quando la femminilità non sarà un'occupazione protetta.